Retablo

A cura di Carola Annoni

 

* Concetto compositivo oramai caduto in disuso fra la maggior parte dei pittori contemporanei, il retablo definisce una sorta di architettura pittorica, composta da più pannelli di diverse dimensioni tradizionalmente posto sugli altari delle chiese.

 

Retablo*, è con questo titolo che Guido Buganza, ispirato gli spazi di Plasma, offre al visitatore di ripercorrere un presupposto della tradizione dell’arte sacra, dai fondi oro gotici alle maestose pale barocche, nella veste più sensuale, o maliziosamente sessuale, della pittura contemporanea. I soggetti delle tele sono nudi di persone reali che incarnano un’umanità, apparentemente quieta, a volte malinconica e dolente, un’umanità avvolta da lenzuola vissute e stropicciate, che vagabonda distratta e vestita della sola propria pelle, per interni raccolti, come lo studio dell’artista.

E’ nel contesto diametralmente opposto del divertimento della libertà esuberante della notte, della ricerca musicale d’avanguardia del Killer Plastic che si pone l’opera di Guido Buganza, come momento di pacata riflessione pittorica sull’umanità del nostro tempo.

In una giustapposizione fra pittura e musica, Buganza abbina le sue tele in altari laici come fossero movimenti “pittorici” accompagnati dalla colonna sonora di Nicola Guiducci ideata appositamente per l’evento.

Dopo la lunga serie di opere che ha come soggetto gli interni, Buganza torna alla figura umana, dapprima con un ritratto di piccolo formato, qui presentato ed ispirato ai ritratti del Fayyum, – icona funeraria dell’epoca romana nella quale l’anima della persona ritratta sembra fissata attraverso la pittura -, per poi passare a nudi di grande formato. La tela s’ingrandisce per accogliere la figura intera, il gesto si libera, la tavolozza diventa dapprima più fredda, poi si riscalda una volta compresa la fisicità della figura umana racchiudendo i suoi soggetti in tele più raccolte.

Buganza approccia scientificamente i suoi nudi, ogni pennellata è uno studio della luce che ne avvolge le carni: anche i rubinetti dei bagni diurni diventano nudi, corpi allungati sulla tela, i piedi, in cerca della luce che li scolpisce. La figura umana diventa rappresentazione della carne viva, dell’umanità che ci circonda, che si accalca di notte, nel buio dantesco del locale.

Le opere enfatizzate da imponenti cornici richiamano un tempo antico, quando l’altare era ancor prima laico, quindi luogo d’incontro delle comunità, epicentro di feste pagane in cui l’istinto dell’uomo veniva lasciato libero di manifestarsi. Un eco lontana oggi difficile da trascendere dal concetto dell’altare religioso, ma molto adatto al contesto dello spazio espositivo. Un altare quindi laico, dal quale le figure delle tele, in piedi, rannicchiate e distese dialogano con il pubblico.

Magistralmente installata secondo un ritmo classico, la serie di opere s’inserisce armonicamente nell’immenso spazio del Plasma, sussurrando al visitatore un singolare percorso meditativo e assai suggestivo, studiato appositamente per questo spazio dall’artista.

 

La pittura di Buganza si pone sempre in maniera umile a chi l’osserva, richiama il visitatore in modo discreto. Ogni pennellata è il frutto di anni di lavoro, di studio e comprensione di grandi maestri con i quali Buganza si mette sempre a confronto. Nonostante ciò, le opere si presentano da sole, nella loro perfezione pittorica. Una perfezione destinata però ad essere effimera, perché Buganza non si concede mai una pausa, ogni opera è un esercizio per la comprensione della pittura, della composizione dei soggetti, dagli interni alle finestre, dai bagni al nudo.

Nella prima, piccola tela in cui è rappresentata una cintura fra un lenzuolo ed un cuscino, l’artista intuisce già apparire il soggetto delle sue prossime tele, ossia la figura e in particolare il nudo. L’interesse allo studio delle carni, diventa una sfida per Buganza, abituato a dipingere per molto tempo oggetti inanimati, pur dotati di una psicologia. Ma come può un oggetto avere una psicologia? Forse sarebbe meglio definirla simbologia legata agli oggetti, agli elementi sempre sapientemente ritratti da Buganza. Eppure esiste una corrispondenza fra questi oggetti ai quali l’artista dà sempre una valenza di ritratto e i nudi.

La sfida dell’artista in questa serie, sta nell’affrontare la figura umana, il nudo, la carne viva. Qui Buganza si concentra sulla fisicità della carne, giocando quasi ad invertire i soggetti. Nell’atelier le sedie e i divani, in precedenza protagonisti delle tele, diventano ora oggetti o meglio spettatori facenti cornice ai nudi. Un divano rosso sul quale è appoggiato il lenzuolo, sembra la metafora di una damigella seicentesca spagnola intenta ad accompagnare e intrattenere la figura ritratta.

 

Il tratto di Buganza, potrebbe cadere nel virtuosismo da tanto è sicuro ma non accade mai, ogni dipinto è una sintesi matematica della pittura occidentale che l’artista studia e ristudia quasi ossessivamente per soggiogarla alle proprie esigenze pittoriche. I riferimenti alla letteratura, alla musica, al teatro si fondono nelle sue pennellate sicure ma raffinate, silenziose ma vibranti. La sapienza, data da anni di pratica, e la costante autocritica che Buganza chiama autoanalisi, sono chiaramente visibili nelle tele e acclamano in maniera silenziosa lo spettatore, immergendolo fra i propri tratti.

Il lenzuolo, le pieghe di una camicia sono elementi che ritroviamo in pitture precedenti: nelle lenzuola delle camere d’albergo, negli autoritratti in cui le pieghe della camicia sono il centro della tela. Il lenzuolo qui, seppur non soggetto della tela, accompagna i nudi nelle loro sedute, ne segue le forme e ne esalta la fisicità della carne. In maniera indirettamente classica, il lenzuolo si fa drappo e distacca la figura dal mondo reale. L’atelier è la cornice nella quale i modelli posano, si siedono, si vestono e svestono, ma grazie al lenzuolo, le figure si elevano dallo spazio fisico dell’atelier per raggiungere una dimensione puramente pittorica.

La narrazione delle tele è aperta, le figure sono ritratte in attimi fuggevolmente colti da Buganza. Un’ombra sul viso, una piega quasi astratta di una coscia, sono i momenti pittorici che interessano l’artista.

Da un’attenta analisi delle tele, si denota che sia la cornice dell’atelier sia la luce studiata da Buganza sono elementi non di secondo piano che servono a completare la narrazione delle tele.

Lo spazio dell’atelier è offerto allo spettatore attraverso pochi elementi fisici: una sedia, un divano nero e uno rosso, uno sgabello e un piccolo specchio. La luce dell’atelier è fredda e scalfisce senza pietà le carni chiare o scure che siano dei nudi e i visibili punti di luce che ne nascono sono colti con interesse analitico dal pittore.

Un ritratto di piccolo formato, Ritratto di pianista, si scosta dai volti per lo più accennati dei modelli. Il volto di Luca, si distingue per la precisione nel ritrarne i tratti e le sfumature della pelle, rendendo perfettamente l’espressione quasi malinconica del soggetto. In un altro ritratto a figura intera, Uomo che dorme, il volto è riconoscibile ma nascosto dalla prospettiva complessa dell’opera, mentre le carni sono pudicamente vestite, solo le mani e i piedi sono scoperti. Infine nel grande nudo disteso, Olympia, – omaggio al capolavoro di Manet – troviamo tutti gli elementi del ritratto, del nudo e del lenzuolo.

Sapiente in ogni opera è l’equilibrio compositivo degli elementi dipinti, una capacità legata anche all’esperienza in teatro che contribuisce in modo raffinato ad ottenere quell’equilibrio di forme che permettono all’artista di concentrarsi sul soggetto della tela e di presentarlo chiaramente allo spettatore. Anche le posture dei modelli sono studiate meticolosamente, ogni torsione è ricercata per poterne studiare l’effetto della luce, una luce che varia a seconda dell’umore del momento, da fredda nelle tele più grandi a calda nelle tele di medio e piccolo formato quasi a voler sottolineare la dimensione intima di queste rappresentazioni. Rappresentazioni o messa in scena? Il dubbio sorge osservando le tele, sono rappresentazioni della volontà dell’artista di riappropriarsi della fisicità delle carni oppure è la messa in scena dei nudi in atelier? La risposta resta alla singola interpretazione del pubblico.